Stagione 2019 — 2020

Kensington Gardens

drammatura
e regia

Giancarlo Nicoletti

Date

Nessun evento in programmazione

Annalisa Cucchiara
Luca Notari
Riccardo Morgante
Cristina Todaro
Valentina Perrella
Alessandro Giova
Eleonora De Luca
Francesco Soleti

Segnalazione “Premio Hystrio – Scritture di Scena 2016”

In collaborazione con — Planet Arts Collettivo Teatrale
Foto — Luana Belli
Grafica — Paolo Lombardo
Video — David Melani
Consulenza Musicale — Marco Bosco
Aiuto Regia — Sofia Grottoli
Ufficio Stampa — Rocchina Ceglia
Distribuzione & Promozione — Altra Scena Art Management

Lo spettacolo

Kensington Gardens è l’ultimo capitolo della Trilogia del contemporaneo di Giancarlo Nicoletti, preceduto da#salvobuonfine e Festa della Repubblica, ed è stato recentemente premiato nell’ultima edizione del “Premio Hystrio – Scritture di Scena”. Il progetto è portato in scena dallo stesso nucleo attoriale dei precedenti lavori della Trilogia, fra cui Valentina Perrella, Alessandro Giova, Riccardo Morgante , Cristina Todaro e Francesco Soleti. A questi si uniscono l’esperienza e la professionalità di Annalisa Cucchiara (protagonista storica di importanti produzioni italiane, fra cui il tour internazionale di “Pipino il Breve”, e di “Hello, Dolly!”, “Caino e Abele”, “My fair Lady”, “La Baronessa di Carini”, “Blood Brothers”), Simone Leonardi (“Battuage”, “Priscilla, la regina del deserto”, “La Bella e la Bestia”, “West Side Story”, “Newsies”, “Full Monty”) ed Eleonora De Luca, protagonista del nuovo film “L’ora legale” con Ficarra & Picone, in uscita a Gennaio 2017 al cinema.

Londra: un futuro, prossimo o remoto, e un Partito xenofobo al governo. Una legge che espelle tutti i non inglesi dal suolo britannico, ronde per le strade, sugli immigrati si spara a vista. Sei italiani ottengono di evitare il rimpatrio, isolati in una villa del parco di Kensington, in attesa di grazia. Il figlio e la sorella di una cantante in conflitto con la crisi di mezza età e col suo compagno più giovane. Un esame di cittadinanza per scongiurare l’estradizione, un chimico, sua moglie. Pianoforti, pranzi, bicchieri di alcol, cene, canzoni d’autore, un magistrato e una giovane inglese che sogna la fama. Le distanze, i confini della propria identità e l’attesa illusoria del futuro si confondono alle vicende di un’umanità senza fissa dimora e bandita da sé stessa.

Note di regia

In Kensington Gardens si tenta l’impianto di contesti e personaggi tratti da Cechov – e più specificatamente da alcuni caratteri e dall’intreccio de “Il Gabbiano” – su una piattaforma testuale e situazionale di teatro contemporaneo. Partendo da quel “territorio del possibile” intrinseco alla drammaturgia cechoviana, si sviluppa un discorso più ampio ed estremamente attuale sui paradossi dei legami affettivi e di sangue, sulle speranze insoddisfatte, sull’incapacità di ammettere lo stato delle cose, e sulle nozioni di Stato, libertà, identità culturale, razza. Una prova di “cechovizzazione” del contemporaneo, in cui Nicoletti sperimenta la sintesi, con il suo stile fortemente identitario, fra gli archetipi del classico e le urgenze del contemporaneo, nel suo lavoro più inquietante, maturo e traboccante di realtà drammatica e tragicomica.

Quattro mesi prima del 23 giugno 2016, giorno in cui i cittadini della Gran Bretagna rispondevano «si!» alla Brexit con un referendum consultivo, lo spettacolo Kensington Gardens debuttava al Sala Uno Teatro di Roma. Il testo di Giancarlo Nicoletti, ultimo capitolo della sua Trilogia del Contemporaneo dopo Festa della Repubblica e #salvobuonfine, riusciva già a guardare oltre. Non solo nello sviluppo storico che di lì a poco avrebbe portato il 51,9% del Regno Unito a rivalutare la sua permanenza nell’Unione Europea. Il testo di Nicoletti, ambientato in una Londra dalla quale un partito xenofobo ha bandito fisicamente i non inglesi, compie un altro scarto: impiantare l’angoscia e l’autoanalisi dell’uomo moderno descritto da Anton Čechov nello smarrimento sociale dell’uomo contemporaneo, alieno e alienato da una società che sovrasta, ghettizza e poi disperde.

Teatro e Critica
Luca Lotano

Cechov abita nei giardini di Kensington. Un rifugio, forse l’ultimo approdo per un’umanità senza fissa dimora e bandita da sè stessa. Prende il via da quel “territorio del possibile” che caratterizza la drammaturgia cechoviana, Kensington Gardens, testo ambientato in un futuro prossimo o remoto. Il riferimento all’intreccio e ai personaggi de Il Gabbiano si fa stringente, mescolandosi alle urgenze del contemporaneo in un racconto intriso di realtà drammatica e tragicomica. 

La Repubblica
A.V.

Il messaggio del dramma potrebbe essere racchiuso in una frase: “Perché il racconto è il riso e il pianto è il suo riassunto”. I greci l’avrebbero chiamata “amecania”, gli inglesi “flusso di coscienza”, gli italiani del primo Novecento avrebbero invece accostato nelle tematiche il giovane Nicoletti alla letteratura sveviana e pirandelliana che riflette sulla vacuità delle certezze umane. (…) Lo spettatore si lascia coinvolgere in questo fluire di un reale tragicomico, che per certi versi richiama, seppur in maniera impercettibile, le dinamiche contemporanee di un reality show che accende i riflettori sui paradossi dei rapporti affettivi e familiari, sulle speranze illusorie, sull’incapacità di ammettere lo stato delle cose. I personaggi di Kensington Gardens, ciascuno con una propria identità e filosofia di vita (e di arte), nei loro virtuosismi sensoriali riescono a trasportare la vita reale sul palcoscenico riaccendendo i lanternini delle coscienze di tutti.

Saltinaria
Alessandro Notarnicola

La villa nel parco, dove i protagonisti vivono giorni obbligati, è per ognuno di loro una sorta di Isola che non c’è: un luogo dove si ferma il tempo, dove non si vive una vita vera; è il luogo della non azione, dal quale tutti vogliono scappare ma che al tempo stesso rappresenta una sorta di rifugio dal quale nessuno vuole andarsene veramente, per restare in una sorta di oblio, lasciando le decisioni ad altri, perché la vita vera fa paura. (…) Kensington Gardens dunque risulta un lavoro molto interessante, sicuramente da vedere e metabolizzare e sul quale riflettere, forte di un cast eccezionale, di grande qualità tecnica ma soprattutto espressiva e introspettiva: un cast che al termine dello spettacolo è scosso quanto gli spettatori in sala e senza il quale, non si sarebbe potuto raggiungere l’effetto desiderato.


Central Palc
Ilaria Faraoni

Al di là dello spazio e del tempo, eppure totalmente immerso nelle tematiche di questo spazio e questo tempo. Cambiano i connotati scenici e di luogo, ma rimane forte il senso di straniamento e smarrimento di quell’uomo moderno, anti-eroe per eccellenza, che oscilla sospeso nell’imprecisione indefinita delle sue scelte: perde chi sceglie o chi sceglie, in fondo, è perchè ha già perso? Ecco, quindi come Kensington Gardens smuove le corde dell’animo perforando e sovrastando del tutto la “quarta parete” e coinvolgendo le coscienze e gli animi della platea.


La Platea
Federico Cirillo

Kensington Gardens rappresenta l’ultimo atto della “Trilogia del Contemporaneo” e merita il plauso del pubblico per la capacità di mettere in scena in modo non banale i disagi di una generazione intera, frastornata e in cerca di una definizione, impaurita di crescere e posta in un mondo che la minaccia e la schiaccia, un mondo da cui si può solo fuggire o rifulgere di luce propria o della vanagloria concessa dal mondo dello spettacolo. Una missione comunque non facile. (…) Ciò che emerge dall’opera di Nicoletti è questa continua urgenza di autodefinizione dei personaggi e di una generazione tutta per estensione, che si scontra con una sensazione di disadattamento crescente rispetto al contesto socio-politico in cui vive, cui si risponde con rabbia, qui trattenuta, ironia e disappunto raccolto negli occhi rassegnati di Valentina Perrella. Ma in Kensington Gardens si riassume forse meglio, rispetto alle precedenti opere, quella sensazione di spaurita consapevolezza di “non avere un posto nel mondo” né qualcosa che ci definisca appieno.


— Gufetto Mag

Antonio Mazzuca

Nicoletti delinea con piccoli ma efficaci tratti una società caratterizzata da una deriva autoritaria in cui le nozioni di Stato, libertà, identità culturale e razza si fondono senza soluzione di continuità producendo un ribaltamento di ruoli, prospettive e punti di vista e spingendo lo spettatore a riflettere sull’emergenza di un tema politico e sociale quanto mai attuale e sentito in Europa, superando pregiudizi e stereotipate visioni della realtà. Ancora una volta rivela straordinarie doti di “metteur en scene” e di profondo conoscitore degli angoli più reconditi dell’animo umano, che riesce a delineare con sapiente efficacia, anche supportato dalle interpretazioni dei suoi attori: su tutti spiccano le interpretazioni di Giova e Cucchiara e le doti vocali di Notari.


— Momento Sera

Federico La rosa

Come per i lavori precedenti, tante sono le tematiche racchiuse in un unico titolo e difficili da riassumere in breve; anche questa è una finestra aperta sulla realtà contemporanea che offre notevoli spunti di interesse e molteplici chiavi di lettura sul concetto di identità nazionale, culturale, su pregiudizi imperanti sulla diversità, su rapporti umani e sentimentali complessi e paradossali. Il testo di Nicoletti risulta scritto con perizia e competenza linguistica, nonché pregno di riferimenti letterari e filosofici. Eccellente quindi la drammaturgia. I ruoli sono ben delineati e gli attori ottimamente diretti da un lavoro certosino della regia, sempre dello stesso Nicoletti. Le interpretazioni sono credibili e convincenti.


— La Novuelle Vague

Mena Zarrelli

L’atipicità della drammaturgia sta nel fatto che non c’è un vero e proprio sviluppo drammatico di una vicenda, ma c’è invece la presentazione degli otto personaggi e delle relazioni che li legano. Le azioni che vediamo sono il luogo in cui i personaggi rivelano chi sono, cosa vogliono, e soprattutto cosa vorrebbero. Le azioni sono rivelazioni, confessioni, frustrazioni e sogni. La scena è l’arena in cui i personaggi si svelano ma non agiscono. L’autore ha voluto, con questo testo, scrivere un dramma “cechoviano”, che del grande autore russo riprendesse atmosfere, stili e personaggi.


— Dramma.it

Marcello Isidori